Il gioco di Sanremo

La settimana off limits del Festival di Sanremo è terminata e porta con sé alcune considerazioni, oltre alla musica e allo spettacolo. In queste ore si sta tracciando un bilancio su cosa si è guadagnato o perso in termini musicali, su cosa è piaciuto e cosa può essere migliorato, se sia stato o meno un festival manifesto del centrodestra. Al netto ci ciò si finisce per allontanare la vera questione legata al fatto che sia un festival della musica italiana e quindi occorre avviare una piccola disamina sul livello musicale del nostro paese. Ma questo facciamolo dire agli esperti, a noi comuni ascoltatori, che pagano il canone, tocca commentare, sulla base di gusti, aspettative piacevoli o deluse.

Abbiamo assistito a un’edizione più sobria, che ereditava le ultime 5 che avevano incoronato Amadeus come un grande mattatore. A Carlo Conti spettava un compito più arduo, mantenere un festival di livello e uno show di tutto rispetto. E così è stato se consideriamo lo share di più o meno tutte le serate. Un’edizione più sobria, a tratti appariva abbottonata, con il presentatore che faceva di tutto per bloccare le uscite più stravaganti, dei suoi ospiti, che avrebbero potuto dar fastidio. Tutto misurato, cadenzato, senza mai un eccesso. A dirla tutta qualcuno c’è stato ma Carlo Conti o ha soprasseduto, o non ha capito davvero cosa si stesse dicendo. Lo dimostrano le diverse gag di Geppi Cucciari, durante la serata delle cover. A parte Nino Frassica e Geppi Cucciari, poco altro è stato divertente se ci riferiamo allo spettacolo.

Di contro, e questo forse è stato l’aspetto più importante, si è messa al centro la musica, cosa che negli ultimi anni era stata accantonata. O meglio faceva da contorno alla manifestazione, nonostante anche Amadeus, come direttore artistico abbia portato numerosi talenti sul palco.

Non è stato da meno Carlo Conti che per la prima volta ha selezionato due artisti, totalmente estranei al Festival, come Brunori Sas e Lucio Corsi. Due cantautori che appartengono al panorama indie e che in quell’ambiente sono molto conosciuti. Il loro pubblico è quello dei locali più alternativi delle città italiane e quindi per il pubblico mainstream (concedetemelo solo stavolta) è stata una piacevole scoperta. Di colpo si è tracciata una differenza: non più i vari Tony Effe e Fedez e dall’altro i cantautori del passato, quindi una dicotomia tra bianco e nero, ma un dibattito che si è allargato e ha previsto più sfumature.

Questa è stata forse la cosa più bella del Festival di Sanremo. Qualcosa a cui non eravamo più abituato e che ha portato colore, vivacità in un dibattito sulla musica che sembrava ormai spento, fermo, stantio incapace di guardare oltre. Se c’è un grande merito, questo lo si deve a Carlo Conti, che è riuscito a polarizzare l’attenzione, ancora di più su musica, testi e melodie.

Alla fine è stata una settimana piacevole, dove ci si è aperti con chiunque a parlare sempre dello stesso tema. Un po’ come accade con i mondiali di calcio, solo che stavolta era tutta una questione italiana. Da fuori non è facile spiegare quello che si consuma in quei giorni. Di come si possa scavare nella profondità delle persone, a partire dalle canzoni. Pronosticare, tifare, assistere alla bella musica e criticare quella che non piace, scaldandosi e lasciandosi andare anche a qualche parola poco cortese. Ma non fa niente, è il gioco e chi è su quel palco lo sa. Non tutti sono abituati, o magari mal sopportano le critiche, ma in quella circostanza può accadere di tutto. Come in quei film dove un evento sportivo fa innamorare i due protagonisti.

Qui a innamorarsi siamo noi spettatori, che, con aria leggera, guardiamo, sospiriamo e tifiamo. Sanremo è terminato, ma a noi resta la speranza, la stessa che una sera di febbraio ci hanno donato Brunori Sas e Lucio Corsi con la loro energia, ma pure mitezza, la loro fragilità che poi è diventata anche le nostra. E per una volta non ci siamo vergognati di essere quelli che siamo. Sanremo chiude una parentesi dolce, dovremo aspettare il prossimo anno per riavere la stessa magia. Fino ad allora viviamo con l’idea, che quelle sensazioni le possiamo avere tutti i giorni, basta solo andarle a cercare in un angolo della nostra mente.

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