Paese Mio

Breve storia di un tempo passato.

Alla fine di un anno disastroso, Scrittura Scomposta vuole lasciare il segno. Non lo farà in maniera sconvolgente, d’altronde il 2020 non ha offerto troppi slanci. Però è giunto il momento di parlare di qualcosa che è insieme, vecchio e nuovo, vicino e lontano. L’idea è venuta stamattina, o forse era già nella testa da qualche settimana e doveva essere solo tirata fuori. Quella che segue è una storia di provincia, che potrebbe andar bene a qualsiasi latitudine, se non fosse per alcuni dettagli. Una storia molto simile a quella dei minatori irlandesi. Diversi lavori ma sacrifici uguali.

Frosolone (Is) è un paese situato al centro del Molise. Sorge alle pendici di una montagna e le sue attività prevalenti sono la pastorizia, che va dall’allevamento alla trasformazione del latte, e l’artigianato comprendente la lavorazione di lame come forbici e coltelli. Su questo blog si è parlato spesso di pastorizia, di transumanza e agricoltura. Il tema di oggi riguarda l’artigianato e tutti gli uomini e le donne che hanno portato alto il nome di Frosolone. È una storia di rivalsa, la stessa che anima gli abitanti di quel posto, lo stesso di chi sta scrivendo. Ma per la rivalsa è necessaria la sofferenza. Le due cose si legano in maniera indissolubile.

I coltellinai frosolonesi sono chiamati in dialetto Facce Tinte, per via dell’olio della tempra (ma non solo) che sporcava il loro viso. Nel Novecento forgiavano insieme alle loro lame anche miseria e tanta fame. Famiglie grandi con alle spalle poca istruzione, perché era impossibile far studiare tutti. Era necessario che i figli crescessero e aiutassero i padri nelle botteghe. Già a 8-9 anni i piccoli davano supporto ai genitori e quindi all’economia familiare. Con il loro contributo i fratelli o sorelle più piccoli potevano continuare gli studi. Qualche talento poteva esserci, ma non si riusciva a scovare dentro le mura domestiche o della bottega (spesso le due abitazioni coincidevano). È bello pensare a quello che sarebbe potuto accadere. Passa sulla bocca un sorriso che allo stesso tempo è nostalgico e amaro.

Dei numerosi figli di un coltellinaio, qualcuno era costretto a emigrare. Appena compivano la maggiore età, o forse anche meno, i ragazzi partivano con pochi soldi e due abiti, uno per l’inverno e l’altro per l’estate. Non era affatto facile. Probabilmente nella terra di destinazione, i figli proseguivano la stessa attività dei padri. Provavano a cambiare l’atteggiamento, stando attenti a qualunque spesa extra. L’importante era arrivare a fine mese, provare a metter su una famiglia e stare lontano dalla criminalità organizzata. Era facilissimo entrare nei giri sbagliati, soprattutto per chi proveniva da una famiglia povera. Intanto a Frosolone le cose non cambiavano: i padri, dopo il lavoro, si recavano nelle osterie, che nel gergo venivano chiamate cantine, dove per poche lire buttavano giù un bicchiere di vino e poi un altro, e un altro ancora. Il lavoro era durissimo, la vita lo era ancor di più. La soluzione era nell’alcool. L’effetto durava un po’, si tornava a casa e qualche donna veniva malmenata. Non accadeva solo da quelle parti, era la storia tipica di tutti i paesi del mondo. Persino i grandi del Novecento hanno subìto il dolore a causa di padri alcolisti.

Era il tempo in cui non si buttava via nulla, non c’erano ribellioni e non esisteva la parità di genere. Nonostante questo c’era rispetto. Sembrerà strano, ma i figli e le mogli amavano e rispettavano i loro padri o mariti. Se oggi ne riusciamo a parlare è perché le cose lentamente sono cambiate. La violenza non era all’esterno, ma all’interno. Violenza frutto di ignoranza e povertà. La stessa di cui oggi vanno orgogliosi i figli di quella terra. La stessa che ha dato modo a quei giovani di cambiar le cose, di studiare, di elevarsi e crearsi un posto nella società. Nessuno a Frosolone dimentica quegli anni. I più vecchi forse li rimpiangono.

Quei tempi e quei sacrifici sembrano così lontani oggi. Eppure sono così vivi nella memoria collettiva, quasi al punto di averli vissuti. Quante volte ci siamo immedesimati in quei racconti del passato, tanto da farli nostri? Tante. Forse troppe. Proprio perché ci sono piaciuti tanto. Quello che ci ha più entusiasmato è stata la rivalsa. La risalita dal baratro alla terra. La realtà è frutto di quell’inferno, che nessuno dimenticherà davvero. Ogni tanto proviamo a rimuovere, perché ci fa stare meglio, ma il ricordo aiuta a espellere tutto il negativo. Interiorizza il bene e alla fine ne usciamo diversi, sicuramente nuovi.

P.s. le foto inserite sono soltanto dei puri riferimenti.

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